Covid: il dottor Vernillo e sua moglie a supporto dei pazienti in quarantena

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Covid-19
Il dott. Antonio Vernillo e sua moglie, Xheseda Dumani

Il Covid-19 è entrato nelle case di migliaia di italiani, costringendoli a isolarsi dal contesto sociale e familiare. La malattia va affrontata inevitabilmente in solitudine, con la crescente preoccupazione per la propria condizione fisica. Quanto è importante in una simile situazione il confronto con un medicoLo scopriamo insieme al dottor Antonio Vernillo. Insieme a sua moglie, la dottoressa Xheseda Dumani, ha deciso di supportare i pazienti o sospetti Covid a casa, in via telematica. Di seguito l’intervista e tutti i dettagli su questa iniziativa.

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Covid e assistenza ai pazienti: intervista al dottor Vernillo

CovidDottor Vernillo, ha deciso di aiutare i pazienti Covid mettendo a completa disposizione le sue conoscenze in campo medico. Di cosa si occupa nello specifico e che tipo di supporto sta dando a chi è in isolamento domiciliare?

Sono un chirurgo generale, al momento lavoro al Centro Trapianti di Napoli della Federico II. Nella prima ondata ho lavorato in servizio presso il Pronto Soccorso di Torre del Greco e Boscotrecase, poi diventato Ospedale Covid. Accoglievamo i pazienti Covid.

Fornisco un supporto ai pazienti domiciliati insieme a mia moglie, che presta servizio presso il Pronto Soccorso del Cardarelli, in questo momento diventato Covid. Diamo un aiuto e dei consigli a chi ha scoperto di essere positivo e presenta i primi sintomi. Magari, non riesce a contattare un medico e non riesce ad avere consigli. Facciamo una sorta di “visita virtuale” ai pazienti domiciliati. Gli chiediamo la saturazione, la temperatura, facciamo fare loro anche un walking test da casa, se possibile, in modo da monitorare in maniera empirica le funzioni respiratorie. In base a come si evolvono, gli consigliamo una terapia o gli raccomandiamo di rivolgersi agli ospedali“.

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Perché lo fa e da dove nasce quest’idea?

Covid-19 covid“È successo tutto un po’ per caso. Mi è capitato che in una famiglia di amici risultassero tutti positivi, con sintomi anche abbastanza seri. Per questo, li seguivo, cercavo di dar loro indicazioni. Era l’inizio di ottobre, quindi ci riferiamo alla seconda ondata. In quel momento c’era un po’ di confusione, anche gli ospedali erano in via di organizzazione. Quindi, non volendo recarsi in ospedale si sono affidati a me, che sono il loro medico da molto tempo.

La cosa è andata bene, per cui hanno fatto girare il mio contatto tra vari amici che necessitavano di un supporto. Essendomi trovato di fronte a una situazione con persone che erano in difficoltà e sostanzialmente non sapevano cosa fare, perché magari si sentivano anche sole, ho pensato di dare disponibilità a tutti. Anche perché leggere un messaggio tra una cosa e l’altra è piuttosto gestibile”.

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I pazienti seguiti dal dott. Vernillo e sua moglie

coronavirusQuanti pazienti sta seguendo attualmente? Sono in tanti a chiederle aiuto?

“In questo momento seguo più o meno una sessantina di pazienti in maniera costante, con sintomi abbastanza seri. Alcune persone non riescono a reperire il proprio medico e mi chiedono aiuto. Altri chiamano il 118, ma le ambulanze sono limitate e se restano in attesa in fila per accedere a un presidio ospedaliero ci mettono ore o forse anche più di un giorno. Immagino che gli ospedali facciano una sorta di selezione del caso. In base a quello che dicono loro telefonicamente si regolano su chi è il più grave da valutare. In quest’attesa si rivolgono a me e mi chiedono consigli. Vedendo che pian piano migliorano poi restano a farsi seguire”.

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Meno pressione sugli ospedali

mini-robot cardarelli covidIl suo contributo, soprattutto se supportato anche da altri medici, potrebbe in qualche modo alleggerire il carico già pesante degli ospedali? C’è qualcosa che vorrebbe dire ai suoi colleghi?

“Secondo me sì. Ho dato la mia disponibilità su Facebook, attraverso Messenger. Dopo cena mi dedico una mezz’oretta, leggo un messaggio la mattina presto prima di andare a lavoro, tra il giro visite rispondo a un messaggino. È chiaro che queste persone, se non si fossero rivolte a me, si sarebbero recate in ospedale e avrebbero tolto tempo a chi ha bisogno di terapie più sostanziose e interventi più immediati.

Abbiamo avuto il piacere quindi di ridurre un pochino il carico degli ospedali, anche se in minima parte. Se ci fosse questo tipo di disponibilità, in maniera condivisa, sarebbe una cosa buona. Bisogna sottolineare che c’è una percentuale del 40-50% di persone che vanno in ospedale, ma che potrebbero essere gestite a casa in maniera diversa. La pressione ospedaliera quindi, secondo me, è dovuta anche al gran numero di accessi “impropri”, che potrebbero essere gestiti sul territorio.