L’ennesimo passo indietro dell’Italia sui diritti LGBTQI+ e lo smacco dall’UE

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Diritti LGBTQI+

Diritti LGBTQI+, la Destra blocca la registrazione di genitori dello stesso sesso

L’adozione, in Italia, si sa, è difficile per qualsiasi genere di coppia, etero o omosessuale che sia. La burocrazia, le attese, le difficoltà, l’animo percosso. Voler essere genitori, voler creare una famiglia diventa sempre più difficile, soprattutto se il Paese non lo consente. Specialmente se i genitori, in questo caso, sono dello stesso sesso. Soprattutto, nel caso degli ultimi giorni, se i figli nascono tramite gestazione per altri. Dallo scorso luglio, Beppe Sala, sindaco di Milano, aveva ricominciato a formare certificati anagrafici per famiglie LGBTQI+. Una mossa fatta per colmare il vuoto legislativo sulle famiglie gay e lesbiche, per le famiglie arcobaleno. La Corte Costituzionale più volte ha sollecitato il Governo, ma si sa, i Diritti LGBTQI+ sono poca cosa rispetto all’urgenza dei rave. Pertanto, Sala ha investito i poteri di capo dell’ufficio di stato civile consentendo la registrazione a famiglie formate da coppie di donne.

Lo scorso gennaio, però, su base di una sentenza della Cassazione, n° 38162, è arrivato lo stop. Il Ministero dell’Interno e il suo capo, Matteo Piantedosi, attraverso la Prefettura di Milano intima al sindaco milanese di interrompere i riconoscimenti dei figli di genitori dello stesso sesso. Specificatamente di due padri che ricorrono alla gestazione per altri, all’estero, e di due madri che si sono affidate alla procreazione medicalmente assistita, sempre all’estero, e che hanno partorito in Italia. Nella circolare è menzionato che a essere registrato può essere soltanto il genitore che ha un legame biologico con il nascituro.

Diritti LGBTQI+, tra la guerra alla GPA e la discriminazione operata

Ci sono vari livelli di discussione in questa faccenda, ma a finire sul patibolo, come capro espiatorio, sono le coppie LGBTQI+. Il Governo, da anni, intenta una guerra verso la GPA, la gestazione per altri. La stessa ministra per la Famiglia, Eugenia Roccella, con l’appoggio della presidente del Consiglio, ha più volte attaccato la pratica definendola utero in affitto. “Il problema è uno solo. La maternità surrogata, che preferisco chiamare utero in affitto perché è più chiaro che c’è una compravendita della genitorialità, un vero e proprio mercato. I bambini di coppie di uomini omosessuali nascono con l’utero in affitto. La questione è se vogliamo legittimarlo oppure no”. Prima ancora che il Governo Meloni si impiantasse su Roma, alcuni deputati di destra avevano già mosso i primi attacchi al diritto di aborto, alla maternità surrogata e affini. Insomma, sui diritti delle donne si è già dibattuto e sulle loro scelte già ampiamente limitato. Tuttavia, l’intento della ministra è quello di vietare e rinforzare i limiti sulla pratica della gestazione per altri, a prescindere dalle coppie che vi accedono.

Per la ministra il problema non sta nella coppia, ma nella pratica. Il Governo, in appoggio, si scaglia anche contro l’Europa, strappando il Certificato europeo di filiazione. L’intento dell’UE sarebbe quello di riconoscere ai bambini nati in qualsiasi paese europeo i loro diritti anche qualora dovessero trasferirsi da un paese all’altro. Insomma, il bambino è riconosciuto come figlio a prescindere dalle regole vigenti negli Stati membri. Per cui, se un bambino nasce in uno Stato in cui è riconosciuta la GPA, tale bambino deve essere riconosciuto anche in uno Stato in cui la pratica è vietata.