Continua la protesta delle donne iraniane e la lotta alla libertà dai dettami moralisti. Dopo l’uccisione di Mahsa Amini, il Paese è consumato dalle rivolte, ma il popolo non si arrende. Dai diritti delle donne fino a una rivoluzione dei valori, è il grido che smuove giovani universitari e donne di qualsiasi età. Jihab bruciati in pubblico, taglio dei capelli e fino a camminare per strada senza velo. Le donne iraniane vogliono essere ascoltate e vivere in serenità.
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Protesta delle donne iraniane, tutto ha inizio con la morte di Mahsa Amini
“Donna, vita e libertà” sono tre parole cardine, sono tre parole che insieme costituiscono, ormai, il motto delle proteste iraniane. Da settembre, in ogni angolo del Paese, le manifestazioni e le rivolte aumentano di giorno in giorno. Dalla libertà delle donne a un ammodernamento dei valori morali di un Iran ormai fermo alla rivoluzione islamica del ’79. L’inizio delle proteste, la scintilla che ha divampato i roghi, è da ravvedersi nel 13 settembre. Quasi un mese fa, una giovane donna curda, Mahsa Ramini è stata uccisa perché il suo abbigliamento era inappropriato. Non indossava bene il velo, lo jihab. Ramini era in vacanza con la famiglia quando la gasht-e ershad, la polizia morale l’ha arrestata.
Le dichiarazioni dei poliziotti morali indicano come causa della morte un infarto. Più tardi, però, i referti di alcuni medici dichiarano – in anonimato per evitare ripercussioni – che la giovane donna ha riportato diverse ferite alla testa, percorse, un’emorragia cerebrale. Di qui il dramma della famiglia e l’eco di rivolta scoppiato nell’intero Paese. Città dopo città, centro dopo centro, come tessere di un domino ogni resistenza è caduta e le donne sono adirate, stanche, massacrate. In protesta.
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Dai social trapelano video di donne iraniane che esigono la libertà
Roghi di jihab accesi dalle donne nelle piazze. Il velo portato per anni è lanciato tra le fiamme. Non solo le giovani intraprendenti e più esigenti del cambiamento. Donne di qualsiasi età, anche veterane, che sulla propria pelle, nel proprio animo, hanno sofferto la deprivazione della libertà. Del divenire un oggetto di proprietà. Di essere un capro espiatorio per purificare i mali di un Paese sempre più alla deriva. Poi l’evoluzione, il taglio dei capelli in piazza, che nella cultura curda rappresenta il lutto. Il lutto per tutte le donne uccise, per tutte le donne stuprate, per tutte le donne che continuano a vivere nella repressione. La polizia morale è tornata a stringere le donne in una morsa. Le manifestazioni vengono represse con cannoni ad acqua e colpi di pistola.
Oltre 180 le donne morte e ferite nelle proteste di questo mese, ma non si arrendono.