Ilaria Di Roberto torna con un nuovo libro: Tutto ciò che sono. Una silloge di 377 componimenti. Prose, aforismi, poesie, pensieri e racconti delle violenze subite. Una vasta raccolta di testimonianze di una survivor in lotta contro gli stereotipi e le violenze di ogni sorta. Abbiamo incontrato la scrittrice raccogliendo la sua narrazione intimistica. Uno scorcio sulle pagine del nuovo libro e un invito a supportare tutte le vittime.
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Ilaria Di Roberto, una survivor che porta la propria testimonianza in soccorso di altre donne
“Tutto ciò che sono” è un’autopsia della violenza di genere. Una raccolta di racconti e altri componimenti della scrittrice e attivista Ilaria Di Roberto. Una donna dedita alle arti, ballerina e non solo. Nelle sue pagine dedica la sua rivincita a tutte le donne e alle vittime di violenza. Edito da Europa Edizioni, il libro porta con sé tanti propositi, come quello di abbattere i cliché sociali che vogliono una donna vittima bloccata nel suo dolore. Non solo il trauma, ma anche l’afflizione. Ilaria Di Roberto cerca di illustrare un lato diverso della vittima, in una lotta alla cultura dello stupro e alla cultura del dolore.
Di seguito le riflessioni e la testimonianza raccolte nell’intervista all’autrice: la voce di chi sopravvive, ma non arresta la propria lotta.
Ilaria Di Roberto, l’autrice si racconta ai microfoni di Informa Press
In “Tutto ciò che sono” racconti te stessa e il tuo passato, ma chi è la voce racchiusa in queste pagine?
“‘Tutto ciò che sono’ rappresenta me stessa a 360° e lo fa deludendo i pronostici sociali a seguito della mia vicenda denunciata pubblicamente: revenge porn e cyberbullismo. Da un lato c’era chi mi ostracizzava, la comunità in cui vivo, e dall’altro chi si aspettava qualcosa da me. In quanto donna vittima di violenza avrei dovuto essere ai margini. Una vittima non dovrebbe farsi vedere sorridente. Le persone si aspettavano un’idea totalmente divergente rispetto a quello che è il copione che viene applicato alle vittime di violenza. Una donna con il volto segnato di lividi, la donna triste, in lacrime.
Ma io non sono così e questo libro rappresenta la dissociazione rispetto al copione che mi era stato affibbiato. Fino allo scontro con l’opinione altrui. Come accade anche a tante altre donne vittime di violenza, la sessualità femminile viene colpevolizzata. Sono stata accusata di essere la causa dei miei mali, subendo victim blaming. Dal momento in cui una donna denuncia una violenza, spesso la si ritiene responsabile. Stereotipi che vanno distrutti, nel mio libro parto da questo. Non è una donna a sobbarcarsi l’obbligo della prevenzione. Dovremmo rieducare gli uomini al rispetto della parità di genere.”
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Quanto è importante per te essere riuscita a mettere nero su bianco ciò che ti è successo, realizzando questo libro-testimonianza?
“Il mio libro è, in primis, un tentativo di elaborazione di un dolore messo al servizio della collettività. È stato un punto di partenza. Questo libro nasce una sera, che io definisco delle sabbie mobili. Ne parlo nel mio precedente libro, ‘Anima’. Sabbie mobili: quel momento in cui si tocca il fondo. Poi, però, realizzi che devi risalire. Così ho iniziato il mio libro, la sera in cui tentai il suicidio a causa della vittimizzazione perpetrata a mio danno.
Prima sono stata vittima di revenge porn, poi di una setta che ha iniziato a perseguitarmi dopo aver sporto denuncia. Sono stata diffamata, ho ricevuto minacce di morte. Sono stata costretta a barricarmi in casa. È stato un incubo. Ho cercato, attraverso il mio libro, di mettere la mia storia al servizio di tutte le donne vittime di violenza o che magari ancora non riescono a riconoscerne i segni. In questo modo ho cercato la mia rivalsa.”
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Mi parlato della violenza subita e della difficoltà di essere ascoltata. Quanto è difficile per le vittime ricevere supporto e vedere riconosciuta la propria violenza?
“Il mio libro è anche una denuncia sociale. Si tratta di una silloge, una raccolta di 377 racconti, poesie, prose, aforismi e pensieri brevi. Ogni composizione è stata ideata per le donne vittime di violenza. Al tempo stesso diventa denuncia sociale, dal momento in cui io svelo quelle che sono le efferatezze messe in atto dai carnefici. Nei miei componimenti ci sono riferimenti a tutti i tipi di abusi, anche quello d’ufficio. All’interno del monologo, c’è un racconto in cui un ispettore indaga l’abbigliamento di una donna. L’attenzione dell’ufficiale non è posta nello stupro, ma in cosa indossa la vittima di violenza.
Essere credute, ascoltate, tutelate, è fondamentale. Ci sono molti strumenti per gridare a gran voce quelle che sono le ingiustizie che sovente subiamo. Troppo spesso non veniamo credute perché viviamo all’interno di quella che molti sociologi definiscono ‘cultura dello stupro’. Ogni violenza viene normalizzata e parte della colpa viene comunque affidata alla vittima. Occorre agire e in fretta, partendo dal linguaggio, perché alle volte le violenze partono dalle parole che ci vengono rivolte.”