La Società Italiana di Medicina Ambientale (Sima) ha annunciato il ritrovamento di tracce di RNA di Coronavirus SARS-Cov-2 sul particolato atmosferico.
Inquinamento come un fattore di contagio? È un’ipotesi, ma è tutto ancora da dimostrare.
Si apre però la possibilità di considerare la presenza di Covid-19 sul particolato come un importante marker, un indicatore. Potrebbe aiutare a rilevare precocemente la ricomparsa del virus. E consentirebbe di adottare misure preventive prima dello scoppio di una nuova epidemia.
Ti consigliamo come approfondimento – Coronavirus: tutta la realtà . Parola al virologo Fabrizo Pregliasco
Covid-19 su particolato atmosferico: lo studio
Le analisi hanno mostrato la presenza del virus in almeno 8 delle 22 giornate prese in esame.
I risultati positivi sono stati confermati su 12 diversi campioni per tutti e tre i marcatori molecolari, vale a dire il gene E, il gene N ed il gene RdRP. Quest’ultimo è altamente specifico per la presenza dell’RNA virale SARS-CoV-2.
Il gruppo di ricerca scientifica è stato coordinato da Leonardo Setti, Gianluigi De Gennaro e Alessandro Miani.

Inquinamento e Coronavirus: i rischi
Bisogna considerare infatti che esposizioni croniche ad alte concentrazioni di particolato atmosferico hanno di per sé effetti negativi sulla salute umana. Inoltre è noto che le goccioline di saliva possono raggiungere distanze anche di 7 o 10 metri. Il rischio dunque è che le micro-goccioline infette possano stabilizzarsi sul particolato e formare dei nuclei virali, aumentando la persistenza del virus nell’atmosfera.
Quindi, come afferma lo stesso De Gennaro, soprattutto durante la Fase 2 è opportuno mantenere basse le emissioni di particolato per non rischiare di favorire la potenziale diffusione del virus.