Il colosso Amazon vola, ma i dipendenti protestano: turni massacranti e zero diritti

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Proteste Amazon: i dipendenti scendono in piazza o denunciano sui social le condizioni disumane di lavoro. Fra accuse dei lavoratori e repliche dell’azienda, cerchiamo di fare chiarezza su ciò che sta accadendo.

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Proteste Amazon, i dipendenti denunciano: costretti a urinare nelle bottiglie

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Il logo di Amazon – una freccia a forma di rassicurante sorriso

Negli ultimi anni si sono svolte numerose inchieste sul colosso dell’e-commerce Amazon, ma nulla finora è riuscito a scalfirlo. Accuse che riguardano il lavoro svolto dai dipendenti in condizioni a dir poco disumane. Tempi strettissimi nei magazzini, contratti a tempo determinato e senza tutele, paghe minime. Le ultime, emerse sui profili social dei dipendenti proprio in questi giorni, sono drammatiche. Per rispettare le rigide tabelle di marcia nelle consegne, gli autisti Amazon sarebbero costretti a urinare nelle bottiglie di plastica, non avendo neanche il tempo di fermarsi per andare in bagno.

Amazon prova a smentire. “Non credete davvero alla cosa della pipì nelle bottiglie, vero? Se fosse vero nessuno vorrebbe lavorare per noi. La verità è che abbiamo oltre un milione di lavoratori in tutto il mondo che sono orgogliosi di ciò che fanno. Hanno un’ottima paga e assistenza medica dal primo giorno”. Su Twitter però fioccano migliaia di testimonianze di dipendenti arrabbiati e frustrati. Ma non solo. Anche giornalisti da tempo impegnati in inchieste sulle condizioni di lavoro dei dipendenti fanno sentire la loro voce.

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Proteste Amazon: lunedì sciopero contro il colosso dell’e-commerce

proteste amazonLo scandalo delle condizioni di lavoro degli autisti Amazon scoppia alla fine di una settimana iniziata con uno sciopero dei dipendenti dell’azienda. Lunedì scorso, oltre 40mila lavoratori italiani di tutta la filiera hanno scioperato per la prima volta, sostenuti dai sindacati. Hanno chiesto più rispetto, diritti e condizioni di lavoro umane. La denuncia dei sindacati riguarda soprattutto le condizioni dei drivers. Quelli che negli spot Amazon in TV fanno la felicità di chi aspetta un loro pacco. I corrieri lavorano anche 44 ore alla settimana, arrivando a consegnare fino a 200 pacchi al giorno, senza alcuna verifica dei turni di lavoro. Ma non solo chi consegna i pacchi è continuamente sotto pressione: anche dentro i magazzini si lavora fino a 8 ore e mezza al giorno con una pausa di pochi minuti.

Nell’anno della pandemia, Amazon è stata una delle poche imprese che è riuscita a moltiplicare i propri ricavi. Le vendite sono salite di oltre il 40% rispetto al 2019 con un giro d’affari di 386 miliardi di dollari. Ora però un’ondata di proteste da parte dei dipendenti mette in crisi il sistema.

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La schiavitù del Terzo Millennio (che non vogliamo vedere)

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Vita alla catena di montaggio Amazon (dallo spot dell’azienda)

È una nuova schiavitù, quella di colossi come Amazon, non diversa da quella che vivono i rider e i tanti fattorini che provano a far sentire la propria voce manifestando e protestando contro il sistema che affoga i loro diritti in un mare di lavoro. Una schiavitù moderna, dei nostri tempi, certamente diversa da quella di altre epoche storiche di fronte alla quale aberriamo inorriditi. Eppure questa è pur sempre una schiavitù che tolleriamo. Perché nel nostro mondo frenetico, dove il benessere e la comodità sono valori fondamentali, avere il sushi pronto da mangiare a quindici minuti dall’ordine o l’ultimo accessorio hi-tech con la consegna della domenica è una cosa giusta. Con buona pace di chi c’è dietro a quel servizio.

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