Quarantena infinita, il vero rischio della fase 3: ecco la sindrome della capanna

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La quarantena è finita e pian piano si stanno allentando le restrizioni che hanno caratterizzato gli ultimi mesi. Si può finalmente uscire e riprendere in mano la propria vita, sempre nel rispetto delle norme anti-contagio. Ma, da un punto di vista psicologico ed emotivo, la popolazione ha reagito in modi assolutamente diversi di fronte alle riaperture. Accanto a coloro che hanno ripreso a vivere il più normalmente possibile, ci sono quelli che non hanno nessuna intenzione di uscire di casa. Questo atteggiamento è stato definito sindrome della capanna. Per comprendere meglio di cosa si tratta, abbiamo intervistato il Dott. Raffaele Russo, educatore per le dipendenze patologiche e teatro-terapista.

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Sindrome della capanna o del prigioniero: cos’è

SindromeSalve Dott. Russo e grazie per essere intervenuto ai nostri microfoni. In cosa consiste la “sindrome della capanna”?

“Un saluto a tutti i lettori. Vengono utilizzate varie espressioni per indicare questa sindrome. Si parla infatti anche di “sindrome del prigioniero”. Ma si deve considerare che sono definizioni americane, che in generale tendono a un eccessivo pragmatismo.
Ciascuno ha vissuto la quarantena in condizioni materiali, sociali e psicologiche molto diverse. Ma sostanzialmente, un’esposizione così forte e violenta al pericolo può aver provocato due condizioni significative. Da un lato, può essere accaduto che la gente, avendo cambiato ritmi e abitudini a causa della quarantena, abbia avvertito una sorta di miglioramento della vita, soprattutto di quella interiore. Quindi si comprende perché adesso abbia poca voglia di ritornare alla precedente normalità e al solito stress. D’altro canto però, anche a un livello inconsapevole, può essersi innescata la paura nei confronti di questo “nemico invisibile”. E quindi è possibile che la gente preferisca restare in casa per il terrore di ciò che potrebbe incontrare fuori. Si può dire quindi che siamo di fronte a una sindrome post-traumatica da stress, con varie sfaccettature e manifestazioni.”

Sindrome della capanna: le possibili cause

SindromeQuali sono le cause che la determinano?

“Il virus è reale, così come l’elevato numero di vittime. E questo sicuramente è un grande fattore di preoccupazione e ansia, come lo è anche il clima d’insicurezza economica. Ma, secondo la mia opinione, le ragioni vanno ricercate soprattutto nella quantità eccessiva e confusa di informazioni ricevute. Le notizie bombardano le persone in ogni momento e in qualunque modo. Le disposizioni governative sono state spesso contrastanti e le regole poco chiare. Ed è proprio questa incertezza di fondo ad aver generato il totale disorientamento e la paura della gente.”

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Gli altri effetti della quarantena

SindromeQuali sono invece le altre possibili conseguenze della quarantena?

“Gli effetti di ciò che abbiamo vissuto sono già intorno a noi. La consapevolezza di essere vulnerabili genera reazioni a volte anche opposte. Bisogna infatti notare che accanto alla paura di uscire, c’è il desiderio di uscire e ritornare alla vita di prima. Ma anche questo è uno degli effetti dello stesso trauma. Anzi è proprio l’evidente tentativo di rimuoverlo e vivere come se nulla fosse. In generale, questa esperienza ha lasciato nell’animo delle persone incertezza, confusione, paura, frustrazione, impotenza e soprattutto tanta rabbia. E purtroppo abbiamo già avuto modo di notare come basti poco per innescare forti reazioni, anche molto aggressive.”

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Il ritorno a una nuova realtà

SindromeChe consigli può dare a chi ha particolarmente sofferto per le restrizioni del lockdown e fatica a uscirne?

“Di certo, non esiste una soluzione semplice e valida per tutti. Quello che mi sento di dire è una cosa basilare, ma mai scontata: chi sente di aver bisogno d’aiuto, lo chieda.

Tuttavia mi rendo conto che se si ha difficoltà a “mettere il piatto a tavola”, non si hanno di certo i soldi per rivolgersi a uno psicologo. Dunque piuttosto che rivolgermi alle persone comuni, solleciterei l’attenzione del governo e delle istituzioni. Alcuni organismi si sono già attivati, con linee telefoniche e attività di supporto vario. Ma bisogna fare di più.

La realtà è che ci troveremo tutti in un mondo cambiato. Un mondo in cui rischiamo di perdere totalmente la fiducia nell’altro. Un mondo in cui l’amico che abbracciavamo calorosamente prima, oggi può essere un potenziale “untore”. Inconsciamente siamo portati a non fidarci e questo ci metterà in una condizione di solitudine psicologica molto afflittiva. Abbiamo quindi una società da assistere e da ricostruire. Ma bisognerà farlo su basi diverse e con riferimenti culturalmente e eticamente validi. Perché quelli che avevamo prima, evidentemente, non hanno funzionato. Non si tratta di una ripartenza, ma di una partenza vera e propria.”