Tampone anale Cina? Giappone dice No. “Provoca un grande dolore psicologico” ha dichiarato il segretario del governo di Tokyo Katsunobu Kato, nel corso di una conferenza stampa. La notizia, riportata dal tabloid inglese The Guardian, evidenzia come Kato sia piuttosto seccato dalla mancata risposta di Pechino alla sua richiesta.
Tampone anale Cina: più efficace per prevenire i contagi
In Cina, da oltre un mese il tampone anale viene utilizzato per monitorare le persone a più alto rischio Covid. Secondo quanto scoperto dagli esperti infatti, questa nuova metodologia risulta più efficace poiché le tracce del virus rimangono più a lungo nel canale rettale rispetto a quello respiratorio. La procedura è stata utilizzata in primis in alcune zone di Pechino in cui erano presenti casi conclamati di positività al Coronavirus.
Nei giorni scorsi, sarebbero giunte all’ambasciata giapponese in Cina le segnalazioni di cittadini nipponici assoggettati al tampone anale al loro ingresso nel paese. I giapponesi avrebbero espresso tutto il loro disagio verso una metodologia di screening invasiva e dolorosa. Non solo a livello fisico ma anche e soprattutto, a livello psicologico. Non è comunque dato sapere con esattezza il numero delle persone sottoposte a questo “trattamento”. La Cina ritiene questa procedura estremamente efficace, anche se ha smentito di aver chiesto ad alcuni diplomatici americani di sottoporvisi al loro arrivo. La notizia, riportata da alcuni media, è stata smentita dal Ministero degli Esteri cinese.
Katsunobu Kato ha dichiarato che continuerà a reiterare la richiesta di stop sulla procedura alle autorità cinesi. C’è la ferma volontà di tutelare i cittadini giapponesi avverso quella che viene considerata una prevaricazione fisica e psicologica. Il tampone anale, infatti, è un trattamento decisamente invasivo che rischia di creare danni enormi alla psiche di coloro che vi vengono sottoposti. Ogni violazione della propria intimità, della propria persona, lo è. O almeno lo è nei Paesi in cui vige un sistema democratico. Sorge spontanea una domanda: fino a dove ci si può spingere per tutelare il singolo e la collettività? E quali sono i limiti da non oltrepassare? Probabilmente la risposta di Pechino sarebbe scontata: no limits.