Vino annacquato: UE pronta a dare l’ok? La rivoluzione enologica conquista l’Italia

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La UE starebbe per dare il via libera al commercio e alla certificazione di qualità per il vino annacquato. La Coldiretti è furiosa e parla di inganno legalizzato, ma cosa sta accadendo realmente a Bruxelles? Cerchiamo di fare un po’ di chiarezza, dando anche un occhio a un mercato in continua espansione.

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Vino annacquato, una storia (miliardaria) che parte da lontano

In un recente consiglio dei ministri agricoli dell’Unione Europea, sarebbe circolata la proposta di consentire la circolazione di vino con un minor contenuto alcolico. Tra i modi per “dealcolizzare il vino” ci sarebbe anche l’annacquamento. Questa è solo l’ultima di una serie di discussioni sul vino europeo su cui si sta “incartando” il cosiddetto “triangolo” (Parlamento, Commissione e Consiglio dell’Unione Europea ) e che consente, per esempio, l’ok allo zuccheraggio per aumentare il grado alcolico dei vini in Nord Europa. Sia l’annacquamento che lo zuccheraggio sono al momento vietati in Italia.
Le varie decisioni saranno prese tra fine maggio e inizio giugno. Importano parecchio, all’Europa e soprattutto a noi, per due motivi:

  • Rientrano nell’ambito della nuova Politica Agricola Comune europea (PAC) che partirà nel 2023 e vale 350 miliardi di euro;
  • Riguardano il nostro mercato mondiale dei vini, che da solo vale 6,3 miliardi di euro e che ha approfittato della pandemia ridurre il gap delle esportazioni ai danni dei cugini francesi (che tra l’altro lo zuccheraggio lo ammettono).
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Vino annacquato, la reazione della Coldiretti

Un dibattito, quello sul vino annacquato, che rischiava di passare sottotraccia ma che è esploso in seguito alle dichiarazioni della Coldiretti. La nota associazione dei produttori agricoli sbotta, per bocca del suo responsabile dei prodotti vitivinicoli, Domenico Bosco:

Un inganno legalizzato per i consumatori che si ritrovano a pagare l’acqua come il vino che non potranno neanche fare appello alla tradizionale canzone popolare romanesca “La società dei magnaccioni” di Gabriella Ferri che recita “Se l’oste ar vino ci ha messo l’acqua E noi je dimo e noi je famo C’hai messo l’acqua Nun te pagamo ma però…“.

Non a caso ad aprile la Coldiretti ha presentato al Vinitaly di Verona la mostra “Non chiamatelo vino“. In questa mostra sono esposti tutti i procedimenti “alternativi” (alcuni perfino illegali in Europa) con cui viene fatto vino nel mondo. Si va dallo zuccheraggio (per aumentare la gradazione alcolica) al vino annacquato, ai kit fai-da-te con vino in polvere, a miscele di vini bianchi e rossi per produrre un finto rosato.

Molto più prudenti altre associazioni di categoria, come l’Unione italiana vini (UIV) e la Federazione europea dei vini a denominazione di origine (EFOW). Ma la questione resta seria; riguarda infatti i disciplinari di produzione, che andranno, casomai passasse la proposta, adeguatamente aggiornati.
Ma a che punto siamo? E perché c’è questo rischio?

Vino annacquato, la situazione delle trattative

San Martino scampiaVa detto subito che siamo ancora molto lontani dal raggiungere un accordo. I disciplinari di produzione sono piuttosto diversi tra Paese e Paese e giungere a una sintesi comune pare arduo.

Del resto, la questione va messa in questi termini qui: vogliamo dare maggiore spazio al vino dealcolato (cioè quello con meno dello 0,5% di gradazione alcolica)?

Il motivo è, neanche a farlo apposta, economico. Il passaggio sarebbe volto a conquistare i paesi a maggioranza islamica, una nicchia di mercato finora molto refrattaria al vino per motivi religiosi. Il problema però è che il vino annacquato rientrerebbe in un disciplinare comune che scardinerebbe antiche tradizioni che da noi valgono oro anche a livello di immagine del prodotto, e che potrebbe portare a vendere come “vino annacquato” anche le grandi marche con certificazioni di prestigio.

Insomma, immaginatevi un vino dealcolato DOC, fatto per i nuovi mercati islamici. Tra l’altro ci sarebbe anche un motivo salutistico: ridurre la possibilità di cancro al fegato.
Vi piacerebbe?
Importante saperlo perché l’Italia è il primo produttore mondiale di vino (e tra i primi esportatori). Basti pensare che Negli ultimi 10 anni l’export italiano di vino è passato dai 4,4 miliardi di euro del 2011 ai 6,3 miliardi di euro del 2020, un aumento del 43% (dati Istat). Il 2021 ha poi segnato un nuovo record di esportazioni, con un fatturato di 7,1 miliardi di euro. Quindi la sua voce conterà moltissimo in sede di trattativa.

Vino annacquato: da dove si riparte

L’ultimo aggiornamento è una proposta di riforma della Politica Agricola Comune (PAC), ferma al 2018. In questo senso va la dichiarazione fornita dal Commissario Ue all’Agricoltura Janusz Wojciechowski. Ecco i punti principali della proposta che, ricordiamolo, non è ancora una decisione definitiva:

  • I vini dealcolati potranno essere denominati “vini”;
  • I vini DOP-IGP potranno essere dealcolati (ma non tramite acqua, pratica considerata non all’ordine del giorno);
  • Questi vini dovranno avere una etichettatura specifica.

Vino annacquato: una non notizia che lo è

taurasiVari siti, tra cui Dissapore, ripreso poi da “Il Post” si sono affrettati a gettare “acqua” (è proprio il caso di dirlo!) sul fuoco, ritenendola una non notizia. Diverse le motivazioni:

  • Si sta parlando di un “foglio di lavoro” e non di una decisione già presa;
  • La dealcolazione è già permessa dal 2009;
  • Il “vino annacquato” sarebbe solo un prodotto in più, non andrebbe ad escludere gli altri. E per questo bisogna regolarlo.

In realtà, la notizia resta, e per vari motivi. Partiamo dal fatto che un foglio di lavoro è una base di trattativa su cui già si può intervenire. Detto questo, bisogna riempire un vuoto normativo dando identità a qualcosa che c’è già. Perché è vero, il vino dealcolato esiste ma qui in Italia il “vino annacquato” è illegale.
O, per meglio dire, non è legale chiamarlo vino e dargli l’etichetta di vino. Il problema è qui: considerare vino quello dealcolato (insomma, il vino annacquato) in etichetta, cosa che porterebbe a un cambio dei disciplinari di produzione.

E il nuovo prodotto, evidentemente molto maneggiato, andrebbe a erodere una importante fetta di mercato danneggiando chi, a “compromessi” di questo tipo, non è mai voluto scendere.

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Vino annacquato: il gusto cambia e il mercato corre

alcol vinoIntanto i vini alcol free iniziano a conquistare i mercati europei. La “scettica” Italia sarà il banco di prova finale, ma i primi passi sembrano essere confortanti. L’Europa (con in testa Francia e Germania) già da qualche anno sta sperimentando i vini alcol free sui mercati esteri (in particolare Scandinavia, Regno Unito e Olanda). Inutile dire che il “bersaglio grosso” sono i paesi a maggioranza musulmana, ma a favorire l’investimento è anche un cambio di abitudini venuto a galla durante la pandemia. In sostanza le nuove generazioni bevono meno delle vecchie. Non solo: sono più attente a coniugare gusto, salute e ambiente. Per questo i vini alcol free sembrano essere visti di buon occhio.

E la questione sembra anche un’interessante inversione di tendenza. Negli ultimi decenni, infatti, la quantità di alcol nel vino è notevolmente aumentata. Rispetto agli anni ’80, questioni climatiche e tendenze di moda hanno portato alcune delle zone più importanti del rosso a produrre vini che raggiungono e superano anche i 14 gradi. È ora di un abbassamento della gradazione? Avremo vini più freschi e delicati?

Vini alcol free: la situazione italiana

Così un paio di aziende italiane hanno iniziato una commercializzazione di prova. Ognuna delle due ha scelto il proprio metodo di dealcolazione del vino:

  • Sandro Bottega (della Bottega Spa) preferisce evitare la fermentazione dell’uva, microfiltrando il mosto; così produce quello che, per la legislazione italiana, è “succo d’uva”. Al Vinitaly 2022 Bottega Spa ha portato i suoi due prodotti dealcolati (il Bottega 0 White e il Bottega 0 Rosé, che partono rispettivamente dai vitigni Glera e Malvasia).
  • Invece Martin Foradori Hofstätter (proprietario di una delle più grandi cantine private dell’Alto Adige) preferisce togliere l’alcol dopo la fermentazione. Questo avviene distillando l’alcol a basse temperature con un macchinario innovativo. Anche lui ha portato al Vinitaly i suoi dealcolati, lo Steinbock Alcohol Free Sparkling e lo Steinbock Selection Dr. Fischer (il primo vino fermo dealcolato italiano).

Non è un caso che a fare da apripista siano due aziende che commerciano molto con l’estero. Altro dato interessante è che entrambe abbiano “dealcolato” i loro spumanti e prosecchi. E che entrambe parlino, per l’Italia, di un mercato prontissimo a recepire i prodotti alcol free. I numeri, secondo i produttori, sono in continua espansione; sia Bottega che Hofstätter hanno parlato di una produzione e vendita di più di 100.000 bottiglie l’anno, ben oltre le attese e con un mercato ancora in grande espansione. Del resto anche i concorsi mondiali del vino iniziano a prevedere la sezione per i “dealcolati”. Basterà questo per far partire un nuovo boom? Forse, ma in realtà c’è un’altra considerazione da fare: con sole 19 calorie su 100 millilitri, il “vino annacquato” è perfetto per la dieta…

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Vino annacquato, arriva la decisione della UE. Ecco come cambia il mercato

vino annacquatoDopo lunghe trattative, l’Unione Europea ha finalmente preso la decisione sul vino annacquato. Questa è contenuta nella nuova disciplina della Politica agricola comune (PAC), approvata a dicembre 2021 ma che entrerà in vigore a dicembre 2023 (infatti la prossima sessione della PAC coprirà proprio gli anni 2023-2027). Il prossimo passo sarà quello del regolamento secondario per discutere la questione delle pratiche enologiche aggiuntive (come l’aggiunta di aromi).

Cosa è stato deciso? In sintesi, con la pubblicazione del Regolamento UE 2021/2117 del Parlamento e del Consiglio europeo la situazione sarà questa:

  • I vini dealcolati entrano definitivamente nella filiera vitivinicola e quindi sul mercato;
  • Avranno delle loro etichette specifiche: “vini dealcolizzati” (con gradazione alcolica inferiore allo 0,5%) e “vini parzialmente dealcolizzati”;
  • I vini DOC e IGP non potranno subire processi di riduzione della percentuale di alcol al loro interno;
  • Per la dealcolizzazione sono permessi solo questi metodi: evaporazione sottovuoto, distillazione o separazione a membrana. Sono i metodi già precedentemente approvati dall’OIV (Organizzazione internazionale della vigna e del vino) e non è in previsione un aggiornamento. Con buona pace del vino annacquato, per fortuna.

Vino annacquato, anche l’Italia ha dato l’ok. Nasce il “dealcolato Made in Italy”

Dalla pagina Facebook del ministro dell’Agricoltura e Sovranità Alimentare, Francesco Lollobrigida

Era una notizia che aspettavano in molti. Alla fine il ministro dell’agricoltura Lollobrigida ha firmato il decreto che disciplina le disposizioni nazionali sulla produzione dei vini dealcolati e parzialmente dealcolati.

È quindi ufficiale, ormai. Anche in Italia “è possibile ridurre parzialmente o totalmente il tenore alcolico dei vini”. Si potranno quindi definire in etichetta come “dealcolati” i prodotti il cui titolo alcolometrico non sia superiore allo 0,5% e “parzialmente dealcolati” quelli compresi tra lo 0,5% e inferiore al titolo alcolometrico effettivo minimo della categoria che precede la dealcolazione.

I pochi produttori italiani che finora avevano proposto vini dealcolati erano stati costretti a portare il vino all’estero per rimuovere l’alcol. Ora, invece, grazie al decreto potranno farlo in Italia. Il decreto stabilisce che può essere ridotto parzialmente o totalmente il tenore alcolico di vini, vini spumanti e vini frizzanti. Non potranno però essere dealcolati i vini a denominazione di origine protetta (DOP) e a indicazione geografica protetta (Igp).

I decreti attuativi arriveranno nel 2025.